All the Sharks: fotografa gli squali senza curarti dell’ambiente

Ho da poco visto alcune puntate della serie reality “All the Sharks”, disponibile su Netflix. L’idea di fondo è lodevole: mostrare gli squali sotto una luce diversa, non come creature pericolose ma come animali da tutelare. Il format è quello di una gara: quattro team si sfidano a chi fotografa più specie di squali in giro per il mondo. Il team che ne immortala di più vince.
Fin qui, tutto bene. I problemi, però, emergono guardando le puntate: la serie è piena di incoerenze e comportamenti che lasciano a dir poco perplessi.
Partiamo dagli scivoloni scientifici, come quando Sarah del team “Great British Bait Off” afferma più volte che le razze sono squali.
Certo, non mancano le forzature narrative, ma le considero comprensibili: la serie si rivolge a un pubblico generalista e ha quindi bisogno di spettacolarizzare i contenuti.
Ma il vero punto debole della serie è “lo stare in acqua” dei partecipanti. Le divers del Team “Gills Gone Wild”, ad esempio, mostrano di avere doti acquatiche nulle, con pinneggiate “a cagnolino” tanto buffe da far pensare che non abbiano mai davvero imparato a muoversi sott’acqua.
Ancora più sconcertante, tuttavia, è il team “Shark-Docs”, composto dai biologi marini Brendan e Chris. I due fanno anche parte di associazioni per la protezione dell’ambiente marino come la Reef Environmental Education Foundation (REEF) e l’Ocean’s First Institute. Nonostante questo, il loro comportamento è decisamente inappropriato: vengono più volte ripresi mentre, per scattare delle foto, sono letteralmente seduti sui coralli di Fuvahmulah alle Maldive.
L’apoteosi si raggiunge nella finale alle Galapagos, un paradiso da conservare in maniera maniacale. Brendan e Chris appoggiano le pinne sul reef senza alcun controllo e anche gli altri subacquei, in evidente difficoltà con l’assetto, non perdono occasione per aggrapparsi con le mani a qualunque cosa trovino.
Da istruttore, faccio fatica a pensare di poter rilasciare un brevetto Open Water Diver a chi dimostra così poca consapevolezza e rispetto per l’ambiente.
A questo si aggiunge una critica sulla qualità tecnica delle immagini. La maggior parte delle riprese è priva di un minimo di post-produzione con il risultato di immagini “tutte blu”. Un po’ più di cura nella parte visiva avrebbe sicuramente giovato alla qualità finale del prodotto.
In conclusione, “All the Sharks” è un’occasione mancata. Il nobile messaggio di fondo – la salvaguardia degli squali e del loro habitat – viene purtroppo tradito dai suoi stessi protagonisti e, di fatto, trasformato nel suo opposto: “fotografa gli squali senza curarti dell’ambiente circostante”. Peccato.